Donne di Napoli

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vanni-merlin
00sabato 10 febbraio 2007 01:17
Donne di Napoli

Al Museo Madre, una doppia antologica celebra l'inglese Rachel Whiteread, famosa per i suoi calchi monumentali, e Marisa Merz, la signora italiana dell'Arte Povera



immagini: www.repubblica.it/2007/02/sezioni/arte/gallerie/whiteread/whiteread/whiter...


Napoli - Due donne, due generazioni, due modi di raccontare un universo domestico. Due linguaggi artistici complessi, mai scontati e prevedibili, ma profondamente intrisi di una femminilità che fa i conti con il proprio mondo intimo. Sarebbe riduttivo definirle due scultrici, perché la loro concezione di scultura è una finestra aperta sulle esperienze più audaci e inclassificabili. Ma la costante che ne caratterizza l'arditezza creativa è l'attenzione spasmodica per gli oggetti di un banale vivere quotidiano, dettagli che affollano una realtà abitudinaria. Oggetti che vengono prelevati e manipolati, clonati e geneticamente modificati, e che diventano la "natura morta" di una scena platealmente visionaria, trasfigurazione di un passato personale. Sono la londinese Rachel Whiteread, la più giovane, maniaca dei "calchi", e la torinese Marisa Merz, con quarant'anni di attività, la signora italiana dell'Arte Povera che gioca con gli oggetti e le forme del suo privato quotidiano per proiettarli su dimensioni universali. Due donne che vengono celebrate dal Museo Madre con una doppia antologica ospitata dal 3 febbraio al primo maggio. Rachel Whiteread, classe '63, è considerata oramai una delle più importanti artiste della cosiddetta "giovane scuola inglese", che si è costruita una carriera sulla strategia del "calco".

Ha esordito, dopo essersi laureata alla Slade School of Fine Art, utilizzando per le sue sculture calchi di oggetti quotidiani, ma poi ha intuito le potenzialità rivoluzionarie di "scolpire" lo spazio che è intorno agli oggetti, sotto le sue amate sedie e i letti, all'interno di armadi, di vasche da bagno fino agli interni di case. E' diventata la scultrice dello spazio, trasfigurando il vuoto in solido, il negativo in positivo. "L'oggetto da cui Rachel Whiteread parte sembra essere stato assorbito dallo spazio, lasciando le tracce della sua presenza nel calco del vuoto che lo circondava - dice il critico Mario Codoganto - Attraverso la descrizione dell'assenza, l'artista riesce comunque a far emergere associazioni sensoriali grazie anche all'uso di materiali quali poliuretano, resine, gesso e gomma che acuiscono la percezione di qualcosa che non esiste più, ma che una volta era indissolubilmente legato alla vita umana".

Ha vinto il prestigioso Turner Prize a soli trent'anni, in concomitanza con la sua prima commissione pubblica, "House", un monumentale calco di cemento di una casa vittoriana distrutta, realizzato in situ e a sua volta votato alla distruzione, stigmatizzando la speculazione edilizia in atto nel quartiere. Ha conquistato critica e pubblico a suon di installazioni monumentali, commissioni pubbliche e opere espositive da galleria, e sembra che i più grandi musei del mondo facciano a gara per averla, dal Reina Sofia di Madrid, ai musei d'arte moderna di Sao Paulo e di Rio de Janeiro, al Guggenheim Museum di New York, al Deutsche Guggenheim di Berlino, alla Kunsthalle di Basilea. La Whiteread è l'artista che nel 1998, su commissione del Public Art Found, ha installato sui tetti di New York la sua "Water Tower", un vero e proprio clone di un serbatoio d'acqua fatto in resina traslucida, un calco in scala uno a uno di un reperto di archeologia industriale, parte integrante dell'immaginario e del paesaggio della città, fantasma, anche letteralmente, di un passato che vive nel presente.

E nel 2000 è riuscita a costruire, dopo cinque anni di controversie, l'Holocaust Memorial, un monumento all'Olocausto nella Judenplatz di Vienna, una vecchia piazza che si trova nel cuore del vecchio ghetto: "l'edificio del ricordo" progettato dalla Whiteread è costituito dal calco negativo di una biblioteca con i dorsi dei libri rivolti verso l'interno nelle proporzioni di una casa ebrea del tempo, facendo un chiaro riferimento al fatto che il libro è il vero santuario religioso di questa confessione. E per la trafficatissima Trafalgar Square nel cuore di Londra, ha portato il suo "Plinth", un calco su un plinto di granito in una resina quasi trasparente da sovrapporre a rovescio come fosse la sua immagine specchiata. "L'attività incessante della piazza principale della capitale britannica - racconta Codognato - con il suo traffico, il suo continuo peregrinare di turisti, piccioni e londinesi di corsa verso qualche parte si specchia idealmente nella struttura della scultura; la luce del giorno o del tempo meteorologico ne modifica in continuazione il colore, focalizzando la sua natura transitoria e ponendosi criticamente in un processo dialettico con la retorica celebrativa ottocentesca delle vittorie militari delle altre sculture e degli altri monumenti che adornano la piazza". E per la Tate Modern, nel 2005, elabora "Embankment", una straordinaria e monumentale installazione in cui distribuisce il calco in plastica bianca dell'interno di migliaia di scatoloni, formando delle altissime costruzioni in un caos modulare, quasi la conseguenza di un crollo immaginario. Fino a "Village", la grande opera pensata appositamente per la sua prima mostra in un museo pubblico italiano, utilizzando decine di case di bambola di varie epoche fino a formare un villaggio immaginario. Nel corso degli anni, l'artista ha cercato e collezionato modelli di abitazioni e suppellettili, le case di bambola di ogni tipologie. "Un omaggio al tempo in cui i giocattoli avevano ancora la sensualità e il peso della perizia artigianale contrapposta alla fredda serialità della plastica, ma anche un'ulteriore espansione dell'indagine a centottanta gradi sulle implicazioni e sui condizionamenti sociali dell'architettura, dell'edilizia domestica iniziata con House".

A più di dieci anni di distanza dalla retrospettiva dedicata all'artista dal Centre Georges Pompidou di Parigi (1994), dopo la personale allestita nel 1998 alla Villa delle Rose di Bologna e la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2001 - che le valse il premio speciale per la scultura- Marisa Merz, protagonista dalla fine degli anni Sessanta accanto al compagno Mario, viene ricordata dal Museo napoletano con una raccolta, quasi un work in progress espositivo, delle opere recenti ma che evocano la sua intensa attività quarantennale. Sfilano disegni, installazioni e sculture, una ricognizione delle opere più recenti. A partire dal grande disegno rosa e oro, che come racconta il curatore della mostra Denys Zacharopoulos appare sapientemente "anticipato da possenti travi in legno recuperate dal soffitto di un appartamento, osserva lo zampillo di una piccola fontana ricavata nelle pieghe di un foglio di piombo, dove si apre un fiore. Due volti aprono le loro braccia su un pentagramma di fili di rame, che corrono lungo il muro bianco segnato da piccoli chiodi di ottone. Linee nere e azzurre si intrecciano sapientemente su una lastra di compensato, che fronteggia una piccola scultura in argilla blu e oro. Cinque volti incisi a graffito su lastre di metallo emergono diafani da nuvole dorate".

Marisa Merz approda alla teatralità di operazioni plastico-ambientali dopo aver studiato architettura ed essersi dedicata all'arredamento e alla grafica. Il suo è un contributo solitario quasi emarginato all'interno del gruppo dell'Arte Povera. Sceglie una chiave stilistica declinata al femminile, legata ad un universo quotidiano fatto di materiali semplici, che riconverte in combinazioni alchemiche inedite di cera e piombo, di oro e sale. "La cera e la paraffina possono ricoprire mobili o cose, arnesi o strumenti, teste o disegni, cassetti o accumulazioni di differenze, come un container che è stato catturato nel tempo, come un vascello perduto nello spazio esterno o fissato in un senso interiore dell'esistenza. Disegnare una linea con la grafite, lavorare ai ferri il filo di rame, gettare un calco di cera o di paraffina o modellare un volto come un blocco di creta, equivale a offrire una serie di esistenze parallele nel mondo, così come nell'universo unico che Marisa Merz ha aperto come mondo possibile nel suo lavoro".


LAURA LARCAN

Notizie utili - "Rachel Whiteread" e "Marisa Merz", dal 3 febbraio al 1 maggio, Napoli, Museo Madre, Via Settembrini, 79.
Orario: dal lunedì al giovedì e domenica ore 10.00 - 21.00, venerdì e sabato ore 10.00 - 24.00, chiuso martedì.
Ingresso: intero: € 7.00, ridotto: € 3.50
Informazioni e prenotazioni: telefono: 081 19313016
sito Internet: www. museomadre. it
Catalogo: Electa.

(2 febbraio 2007)


da: www.repubblica.it/2007/02/sezioni/arte/recensioni/donne-di-napoli/donne-di-napoli/donne-di-nap...

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