L’hacker, questo sconosciuto

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vanni-merlin
00domenica 11 febbraio 2007 23:41
L’hacker, questo sconosciuto


di Pino Fondati


Ma chi è questo sto hacker? Sarà mica quello, e solo quello, che vediamo nei film, bruttino, grassoccio e miope, asociale e scontroso, tutto bit e niente altro? Con un sospiro di sollievo pare che, no, l’hacker sia anche qualcosa di più: brioso e curioso, un po’ angelo e un po’ diavolo, sicuramente un po’ romantico; un guerriero del cyberspazio o un cracker o un paranoid, o altro ancora, a seconda che lo faccia di professione o per passione. Quel che è certo è che l’hacker è una figura complessa al centro di molte analisi, che spesso però ne rimandano uno stereotipo. “L’underground hacker è un mondo molto discusso, ma troppo spesso anche stereotipato e di conseguenza poco capito”. Parola di Raoul Chiesa, che dell’argomento può parlare a ragion veduta. Hacker dal 1986, quando aveva 13 anni, nel 1995 qualche problema giudiziario per violazione di importanti sistemi informatici, Chiesa ha trasformato la sua passione in una professione: tra i fondatori di Clusit, oggi è dirigente di Mediaservice.net, oltre che membro dell’Isecom e del capitolo italiano di Owasp (open web application security project). Insomma, un esperto di sicurezza a tutto tondo, non a caso amico di Kevin Mitnick, leggendario hacker americano, inventore del social engineering, oggi ascoltatissimo esperto. Dalla mente fervida di Chiesa è nato il progetto Hpp (hacker’s profiling project), con l’obiettivo di rispondere alla domanda “chi è l’hacker?”, coniugando la sua esperienza con la psicologia criminale, nel tentativo di applicare le metodologie di “criminal profiling” al mondo dell’hacking. Un progetto quinquennale avviato nel 2004, un work in progress (il risultato dei primi due anni di lavoro “Profilo Hacker” è stato pubblicato da Apogeo e presentato ieri a Milano, nell’ambito di Infosecurity) che si prefigge di cogliere le sfumature e le chiavi di lettura di quel mondo (anche) per dare a chi lotta “contro alcune sue frange” nuovi strumenti di indagine. “Ogni hacker è diverso dagli altri, pur avendo delle costanti e dei caratteri comuni – dice Chiesa - Dunque, è sbagliato generalizzare”. Anche perché l’hacker evolve: ogni periodo storico ce ne ha consegnata una tipologia; e, come si sa, i periodi storici dell’It durano lo spazio di un mattino. Si diceva della prima tranche del lavoro di equipe Hpp, di cui fanno parte anche psicologi, sociologi e criminologi. Nel 2004, è stato diffuso un questionario attraverso Internet e una rete di persone appartenenti all’ambiente underground, che hacker di tutto il mondo hanno compilato. I dati sono stati raccolti in una banca dati, nella quale confluiscono anche le informazioni relative agli attacchi perpetrati ai danni della honeynet, rete civetta installata dai promotori del progetto. I primi risultati della ricerca tolgono subito un paio di certezze sul fatto che l’hacker sia di sesso maschile e adolescente. Ebbene, il numero delle donne hacker cresce in modo esponenziale, mentre l’età media si alza; anche perché i “vecchi” hacker, oggi 30-35enni, continuano a tenere banco (quando si dice la passione..). Il fenomeno è presente in tutto il mondo, l’hacker vive soprattutto in città. E fisicamente come sono? Qui casca lo stereotipo: l’hacker del duemila è mediamente atletico e belloccio, elegantemente casual, non di rado volta timido al di fuori del suo elemento naturale, il cyberspazio. Molti di essi provengono da famiglie disagiate e piene di problemi, con genitori assenti, separati o divorziati, adottivi, devianti. Da qui, non sembri facile psicologismo, la scelta di avere a che fare con il computer “che non ha pregiudizi e non discrimina”. Questo non impedisce loro di frequentare la scuola con buoni risultati, di avere amici e amiche e praticare sport. Un po’ come Einstein, amano studiare, però selezionando: sì alle materie scientifiche e all’informatica, poco o nessun impegno nelle altre materie. La ricerca mette in luce come a tutti gli hacker piaccia imparare, ma non tutti amano farlo a scuola. Gli hacker sono presenti in tutte le professioni, spesso sono riusciti a trasformare la loro passione in un lavoro; anche se, una volta assunti, non smettono di fare hacking. Fare buon uso delle loro conoscenze, questo è l’obiettivo dell’hacker dopo avere superato la fase anarcoide (non di rado condita da raid di polizia o condanne penali): usare il proprio talento per scopi positivi. Gli hacker sono hacker soprattutto perché conoscono la tecnologia a tal punto da violare non solo i sistemi informatici, ma anche se stessi e la loro stessa vita, imponendosi uno stile di vita che consiste nell’espandere la propria mente oltre ciò che è scritto nei libri o ciò che è stato spiegato da altri. “Essi – dice ancora Chiesa – sono hacker perché hanno permesso alla loro conoscenza di crescere senza porsi, attraverso l’auto-insegnamento e la scoperta”. Qui il discorso scivolerebbe verso le figure di hacker “etici” e hacker “cattivi”, e altri risultati della ricerca. Per questo, rimandiamo alla lettura del rapporto.



da: www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2007/02/hacker-fondati.shtml?uuid=0589f89c-b74c-11db-ae4c-00000e251029&DocRulesVie...

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