Utilità del deserto e tragedia desertificazione

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vanni-merlin
00sabato 10 giugno 2006 16:01
Utilità del deserto e tragedia desertificazione


Marinella Correggia

Sorpresa: il deserto può essere fonte di energia e alimenti. Ma l'effetto serra lo minaccia, così come accresce i fenomeni di desertificazione. Lo sottolinea l'Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), che a questo specialissimo ecosistema ha dedicato la Giornata mondiale dell'ambiente, il 5 giugno. Il 2006 è del resto stato nominato «anno dei deserti e della desertificazione».
Per sgombrare il campo da equivoci, occorre fare una distinzione nettissima fra deserti e terre aride in via di desertificazione. I primi - dal Sahara al Gobi all'Atacama - coprono un quinto della superficie del pianeta. Le seconde, lungi dall'essere un fenomeno marginale, sono circa il 41 per cento della superficie del pianeta e «ospitano» due miliardi di terrestri; secondo le stime, fra il 10 e il 20 per cento delle terre aride, particolarmente nell'Africa sub-sahariana e nell'Asia del Sud, sono già degradate e avanzano verso lo status di deserto.
Secondo la Convenzione Onu per la lotta alla desertificazione (www.unccd.int) l'area totale colpita da fenomeni di degrado e desertificazione è stimabile intorno a 6-12 milioni di chilometri quadrati; più della Cina o del Canada. Ogni anno si aggiungono altri 20 milioni di ettari di terre coltivabili.
E' questo uno dei maggiori ostacoli alla fine della miseria e una delle cause di conflitto per risorse sempre più scarse. Non per niente lo slogan, come riferisce il sito specializzato Planet Ark della Reuters è stato: «Non desertificate le terre aride!». Una desertificazione imputabile a: metodi insostenibili di gestione dei suoli (il sovrappascolo, errate tecniche agricole, espansione della frontiera coltivata a scapito della foresta il che ben presto lascia dietro zolle sempre più aride), pressione demografica, sconvolgimento del clima terrestre che porta a un cambiamento nel regime delle piogge (per semplificare: sul già asciutto piove sempre meno). Il degrado ha provocato una perdita di produzione agricola stimata in 42 miliardi di dollari all'anno; senza contare le incalcolabili sofferenze umane collegate per le carestie. L'Onu chiede dunque ai governi di «concentrarsi sulle sfide della vita ai margini del deserto».
La giornata del 5 giugno è stata dedicata alla piantumazione di alberi per fermare l'erosione, in particolare in Algeria, paese ospite dell'evento; il presidente Bouteflika ha chiesto l'adozione di una Carta mondiale sui deserti che aiuti a raggiungere l'obiettivo - ormai irraggiungibile, in verità - di dimezzare la povertà entro il 2015. Il fenomeno può essere fermato da una migliore gestione colturale, da tecniche irrigue più accurate e da strategie di diversificazione occupazionale per alleggerire la pressione sulle terre.
Ma torniamo ai due paradossi iniziali. Anzitutto, secondo alcuni esperti, i «veri» deserti esistenti diventare generatori di energia solare senza occupare terre coltivabili a scopi energetici; un'area di 800 km nel deserto del Sahara, ad esempio, potrebbe catturare una quantità di energia solare sufficiente a coprire il fabbisogno di elettricità mondiale. Ovviamente la possibilità è teorica: si immagini la quantità di pannelli che sarebbero necessari, e la difficoltà di una loro manutenzione.
Comunque, lo spazio c'è. Inoltre: alcune piante in grado di sopravvivere a queste condizioni estreme potrebbero fornire cibo in situazioni di esaurimento delle disponibilità idriche. La nipa, nel deserto Sonoran, parte occidentale del Messico, produce un seme della dimensione del chicco di frumento, estremamente resistente alla siccità e perfino in grado di «bere» acqua salinizzata. Secondo un rapporto pubblicato dall'Unep, la nipa «potrebbe diventare il maggior regalo che il deserto fa al mondo». Insomma: un futuro alimento di base.
Il problema per il deserto, e non solo per la desertificazione, viene dal riscaldamento climatico. Ad esempio la già ridottissima pluviometria nel deserto Kibri, in Iran, è scesa al ritmo del 16 per cento ogni dieci anni fra il 1979 e il 2000. Riduzioni di poco inferiori si sono registrate nel sudafricano Kalahari e nel cileno Atacama. «La risposta alla crisi idrica di zone desertiche è: smetterla di usarla in modo stupido» ha detto lo specialista Andrew Warren dell'University College di Londra; «la Giordania, ad esempio, esporta acqua sotto forma di pomodori».



da: www.ilmanifesto.it/terraterra/archivio/2006/Giugno/44885ac61a...

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